IRRADIAZIONI ( La propagazione delle idee)

  1. Ai più gli oggetti sembrano muti, limitandosi a provocare risposte già pronte da parte dei nostri sensi e a prestarsi agli usi che corrispondono alle possibilità operative già comprese nella loro costituzione. Ma le possibilità delle quali rappresentano i centri di irradiazione sono da considerare infinite, ciò accade perché infinite sono pure relazioni che essi intrattengono con gli altri oggetti e delle quali i loro nomi stanno a rappresentare come gli indirizzi. Se gli oggetti parlano, come in effetti parlano, non è facile ascoltarne e comprenderne la voce, in quanto si rivolgono a noi attraverso messaggi silenziosi diretti soprattutto agli occhi o alla mano prima che agli orecchi. Per ascoltarne la voce, occorrono infatti, prima che orecchi addestrati, animi predisposti perché le parole e le frasi pronunciate dagli oggetti abbiano un  senso assimilabile dal cervello.  La condizione sembra molto esigente, come in effetti è. In più, si vuol dire che  occorre essere anche particolarmente edotti circa la loro origine e la loro vocazione, peraltro così simili all’origine e alla vocazione delle parole. Questa genesi comune di parole e cose è soltanto intuita da molti e per comprenderne la reale portata occorre che lingua, vista e tatto, come si conviene a strumenti che debbono funzionare in concerto,  siano accordati sulla stessa tonalità, compito che richiede lo sviluppo contemporaneo di queste facoltà e, forse, di altre ancora.

   La difficoltà ricordata spiega perché nel medioevo, epoca di generale mutismo, cecità e neghittosità,  i relitti dell’antichità, che pure ai loro bei tempi erano creazione di animi appassionati e ricchi, diventati muti venivano impiegati come cave a cielo aperto per estrarne le pietre con cui produrre la calce necessaria a tirare su alla meno peggio le casupole addossate le une alle altre così caratteristiche dell’epoca. Spiega pure la ragione per cui si dovette aspettare un’epoca nuova, un’epoca di menti sveglie,  perché le pietre lavorate e pensate dei

monumenti tornassero a venir viste e pensate, invece che come inerte materiale da costruzione, come opere dell’uomo e quindi in grado di parlare agli uomini, che poi vuol dire entrare nel circuito della comunicazione dove tutte le cose e i pensieri entrano in relazione. In quanto al materiale calcareo necessario per produrre la calce,  si comprese che ci si poteva anche rivolgere alle montagne, consapevolezza difficile da raggiungere per le menti diventate pigre che popolavano il territorio del già Impero Romano.

 

  La rinascita del senso umano delle cose, che coincideva con una vera riappropriazione di se stessi e del mondo, preparato dal rifiorire delle attività a partire dall’anno Mille, comincia veramente con gli artisti, non capomastri soltanto perché più bravi dei manovali, ma veri maestri del disegno e della scienza geometrica che divenne nel Rinascimento un linguaggio abbastanza ricco, flessibile e preciso per creare significati trasmissibili nel tempo e nello spazio, quindi ricostruire il senso delle cose e del vivere, comprenderne l’origine e il destino, inestricabilmente legati al conoscere e volere umani. I maestri del Rinascimento non tardarono perciò a rendersi conto di non aver a che fare soltanto con un materiale inerte, e nelle nelle opere del passato presero a leggere  mezzi di rappresentazione ed edificazione del mondo dato ai sensi  un sistema linguistico vero e proprio, i cui testi si potevano esprimere con i mezzi della lingua parlata così come i testi scritti potevano venir tradotti, o almeno parafrasati, in opere visive o costruttive. Testo scritto e immagini potevano stare insieme e spiegarsi a vicenda.(1) Le opere del passato non erano dunque buone soltanto per farne calce ma, a saperle ascoltare,  potevano raccontare molto della vita, dei sogni, dei piani, dei loro costruttori.

Ciò facendo, anche i fatti degli uomini che lavorano  diventavano traducibili in prodotti del pensiero, oggetti di discorso nel quale diventano spiegabili. Nello stesso tempo che si ricreava la continuità tra passato e presente, si trovava che anche l’uomo che lavora, che crea le cose, opera col pensiero e le sue creazioni possono diventare oggetti di discorso.  Dunque l’intento degli umanisti non era quello di fare opera di ricostruzione archeologica o storica, ma  decifrare le forze proprie del soggetto umano, che diventa soggetto quanto opera con scienza e coscienza, le attitudini conoscitive e produttive degli stessi ricostruttori.

 

  1. In un simile clima le opere del passato assumevano il ruolo di modelli, forme ideali piuttosto che schemi immobili da offrire alla contemplazione o alla ripetizione, come a parlare con rigore non avviene nemmeno col più umile degli artigiani. Infatti, non si crea niente dal nulla, come si dice faccia Dio, ma ogni creazione si appoggia a modelli ideali che, assorbendo impulsi dal presente, tornano a vivere, si fanno storia. C’è infatti una bella differenza tra copiare un oggetto, seguire un progetto stabilito da altri e immaginare qualcosa che non esiste se non nella propria testa per poi portarla in essere, viva della vita del suo tempo, di quanto vive nell’animo del suo creatore. Nel secondo caso, il modello si trasfonde nella nuova creazione, un po’ come fa il figlio col padre, che ne ripete qualche tratto ma non per questo ne rappresenta una replica o rinuncia a farsi un destino tutto suo.

La statua equestre del Gattamelata  sta lì a dimostrarlo. La statua di Marco Aurelio ha potuto suggerirne l’idea e forse anche alcuni espedienti tecnici relativi all’arte di modellare il bronzo, ma l’opera di Donatello è vera espressione della vita del tempo e del suo autore, del senso che ce la fa comprendere.

  Nella stima dell’epoca,  doveva salire al massimo grado la funzione  delle  percezioni visive,  le intenzioni costruttive e organizzative che presiedono ogni progetto, che si fondevano nella tendenza esplicativa, discorsiva,  come in realtà avvenne.  Nella nuova cooperazione discorsiva di senso estetico e ragione, di pensiero e fatto, l’uomo ritrovava il centro perduto della sua persona e la via verso il futuro, perché ogni creazione umana nasce da una tale cooperazione. Il Colosseo, con le sue serie di archi uguali ripetuti  regolarmente, livello dopo livello, è qualcosa di più della ripetizione di parti. Come parte di un organismo architettonico, l’elemento diventa significativo dell’intero, questo  dell’elemento e l’opera finale del tutto urbano di cui è parte. Il  ritmo non interrotto dei suoi archi dimostra la produttività dell’intuizione estetica unita alla regola logica, e matematica insieme, del principio di identità e non contraddizione che governa ogni attività umana.  

  1. L’Insegnamento doveva venir recuperato dal Brunelleschi nell’Ospedale degli Innocenti, sebbene con un significato nuovo. Infatti, i portici che circondano il cortile interno, sequenze di cubi  sormontati da semisfere, sono concepiti nello spirito della prospettiva e come in questa le figure si inseriscono nelle maglie geometriche disegnate  sui piani ritagliati nella piramide prospettica, così le persone reali che si trovano a sostarvi sono sotto gli influssi di quella ragione platonica che parla dalle singole parti dell’edificio che essa stessa ha contribuito a plasmare. Si tratta di una ragione che pone da sé le premesse di cui ha bisogno, che non ripudia il momento percettivo, individuale, estetico ma vi si fonde in una sintesi comprensiva dell’individuale e dell’universale. Qui la vita imita l’arte, si sforza di portarsi alla sua altezza, apprenderne i valori (B.Zevi:Ritratto metafisico del genio Rinascimentale, In Cronache dell’architettura, n.84,Laterza).

 

  1. In quanto alle irradiazioni delle influenze, al trasferirsi delle idee da un’opera all’altra quando le condizioni diventano mature per lo scambio, conta molto il clima culturale ma conta pure la personalità artistica che l’incarna. Le nuove opere, se dotate di valore artistico, benché ispirate da quelle del passato, sono pur sempre creazioni originali, non imitazioni, significano vita che crea nuova vita non vita presa a prestito da altri e rivissuta in un’epoca diversa.

  Per rendere più evidente il nostro assunto, agli esempi di sopra ne vogliamo aggiungere altri. Nella Figura 6, relativa a una pavimentazione romana, elementi geometrici ed estetici, figurativi, concorrono per costituire l’opera nella sua integrità.  La si confronti con la Piazza del Campidoglio, disegnata da Michelangelo(1533) (Figura 7), esempio eminente  di

pianificazione urbana, in cui un complesso di elementi (spazio  libero della piazza, edifici, ecc.) vengono pensati nell’unità della loro destinazione architettonica finale, immagine dell’unità delle  funzioni civili e amministrative alle quali erano adibite e non si potrà non pensare a una qualche influenza esercitata dell’opera romana antica, un modello però rinnovato e storicizzato nel cervello di Michelangelo. Soltanto un’influenza però, perché l’opera michelangiolesca trae ispirazione da clima artistico e, in senso lato, culturale, dunque estetico, intellettuale, etico e politico della sua epoca. La nuova opera ha significato in virtù della sua unità, benché per astrazione gli elementi del complesso, dove si richiamano a vicenda e ricevono significato dalla loro unità,  possano essere considerati separatamente.   La Figura 8, che rappresenta un esempio tratto dai ludi matematici di Leonardo, sembra voglia rappresentare il modello razionale che sta dietro le ultime due opere, descrivendone le forze motrici ed organizzatrici che le governano. Esso, che coopera alla concezione e costruzione delle opere, coopera pura alla loro fruizione.

5.L’idea che gli studi estetici e logici sulla geometrizzazione dello spazio, quali possono farsi avendo come oggetto le opere d’arte, abbiano contribuito agli sviluppi della geometria descrittiva e proiettiva e quindi a  una più rigorosa ed esatta idea di spazio sulla quale doveva fondarsi la classica scienza della natura, è stata sostenuta da molti studiosi e, tra gli altri, da Pierre Thuillier (Espace e perspective au Quatrocento, La Recherche,n.160, novembre 1984). In effetti, la razionalizzazione dello spazio, della quale abbiamo mostrato sopra alcune esemplificazioni, non solo anticipa la possibilità di una misurazione di tutti i suoi rapporti, ma permette di dedurre dal processo di misura stesso implicazioni essenziali, quali ad esempio le precise relazioni tra le caratteristiche di oggetti e fatti che sono alla base della nuova scienza della natura.  L’arte, che concorre alla formazione umana in senso lato, concorre pure alla formazione di uno spirito scientifico inteso in senso moderno e del quale si trova alla radice.

 L’epoca moderna, e il XX secolo in primo luogo, l’epoca della scienza sviluppata e applicata, vede i rapporti tra sensibilità, ragione e scienza in termini diversi Infatti, siamo nell’epoca dominata da una ragione intellettualistica se non meccanica, utilitaristica, indifferente agli interessi  estetici  in base ai quali gli uomini agiscono. La nuova sintesi, che  include il pensiero operativo delle scienze empirico-analitiche, non è più  posseduta sin dall’inizio  dal soggetto senziente e ragionante ma è diventata compito di specialisti chiamati a cooperare, condizione che non esclude risultati parziali e sproni a continuare nella ricerca di quell’unità delle conoscenze e delle cose che il soggetto intuisce. In proposito, si deve segnalare l’opera di Adriano Olivetti sulla quale ci siamo diffusi altrove (www.tecnicaecultura.org e www.umanesimopopolare.org ) e quella di altri famosi personaggi che ne condividevano le idee, nella sua impresa e fuori di essa.  La sintesi di senso estetico e rigore logico che governa la creazione artistica, sta anche all’origine di ogni attività umana, comprese quelle attività industriali dedite alla produzione al dettaglio e all’ingrosso, dominate dalla tecnica, dei più diversi, utili e umili oggetti. La stessa architettura moderna offre un’immagine efficace di quello che è diventato il lavoro industriale, che trova a sua volta il modello nell’industria delle costruzioni,  quando realizza i suoi manufatti componendo tra loro moduli identici(nella sua versione collettivistica e popolare), oppure, cerca di stabilire   compromessi tra un pensiero costruttivo attento ai chiari rapporti e una natura non più solo immaginata ma vivente che ne penetra gli spazi e infonde loro nuova vita..   

 

 Bibligrafia

1)L. B. Aberti:Della pittura

2)R.Wittkover:I principi architettonici nell’età dell’umanesimo 

3)P. Murray:L’architettura del Rinascimento italiano

 

 

 

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